VITERBO - Una favola bella quella del 3 settembre di Fabio Fasanari, raccontata, come è solito fare per gli eventi più significati della sua vita, sui social. Una favola chiamata Facchino che lo ha trasformato, anzi promosso "spalletta".
Fabo è conosciuto come Faziarte, e dallo scorso ottobre ha raccontato l'incontro con la malattia e, dopo pochi mesi, la rinascita, che ha proposto nel murales Fenice (La doppia rinascita di Faziarte nella Fenice che accoglie chi arriva a Bagnaia).
Sembrava già tanto, ma una volta rinata dalla cenere ogni Fenice spicca il volo, e così lo abbiamo incrociato nel capannone Fiorillo, accolto dalla grande famiglia della costruzione di Dies Natalis, a cui ha dedicato un murales.
Non bastava, come ogni facchino ha effettuato la prova di portata, superandola, e tornando ad indossare la divisa bianca e rossa, accolto dai fratelli del Sodalizio, dove era entrato da poco e quindi era abituato ad aiutare nelle corde dell'ultimo tratto. Era tanto, tantissimo, ed era pronto ad esserci di nuovo.
Il destino però è beffardo, e di fronte al fermo forzato di Sandro Rossi un'occasione si è presentata a Luigi Aspromonte, che ha fatto trionfare Dies Natalis nel suo giorno più difficile, il primo Trasporto di una Macchina di nuovo imponente. E non è stato l'unico ad incrociare il destino: durante il raduno è stato salutato un altro Facchino assente per motivi di salute, Marco Gemini, altro punto di riferimento fondamentale. Il meccanismo non si ferma, perché Dies Natalis è a San Sisto e va portata sul sagrato davanti al Santuario di Santa Rosa. Inizia il giro dei ruoli, c'è una sostituzione da fare durante la sosta di piazza Fontana Grande, dove resta una spalletta vuota, che va a riempire proprio Fabio.
Il racconto lo lasciamo alle sue parole, le più belle, le più sentite perché vengono dal cuore di chi ha vissuto sentimenti così contrastanti negli ultimi 12 mesi che è impossibile raccontare se non usando le sue, tratte dal post che ha pubblicato, insieme alle foto di questo articolo (tratte dal post e scattate da Federico Botarelli). Tra l'altro a San Sisto, poco prima della mossa, abbiamo fotografato un abbraccio bellissimo tra un facchino e la sua ragazza, un gesto bello da immortalare senza sapere che era lui, Fabio (gallery linkata qui sotto, a fine articolo).
"A Viterbo ogni 3 settembre viene compiuta l’incredibile impresa di portare a spalla una costruzione alta 30 metri da più dii 5000 kg (La macchina di Santa Rosa) per circa 1,2 km. È una tradizione secolare, unica nel mondo e riconosciuta Unesco.
I facchini (così sono chiamati i portatori), per dimostrare di essere in grado di reggere lo sforzo, devono superare ogni anno una prova di fatica che consiste nel portare 150 kg per 90 metri" inizia così, raccontando al suo pubblico quello che a Viterbo ben sapiamo ma fuori nemmeno tanto.
E prosegue: "Dal 2018 sono un facchino anche io.
So che può sembrare assurdo, ma quando mi è stato diagnosticato il linfoma, una delle prime cose a cui ho pensato è stata quella che quest’anno non sarei stato in grado di portare la Macchina.
Quando poi, due sere fa, il 3 settembre appunto, veniva letta la lettera di un portatore che non era presente per una brutta malattia e ci manifestava da una parte la sua vicinanza, ma dall’altra il suo dispiacere nel non essere insieme a noi, mi sono reso conto che mi trovavo con i facchini e stavo andando a prendere la Macchina.
Mi sono reso conto che avevo superato la prova di portata a 2 mesi dalla fine delle cure. Mi sono reso conto di esser stato parte attiva della manifestazione e che il 3 settembre c’era una folla piena di persone con la maglia disegnata da me. Mi sono reso conto che ero vicino a mio Padre e a tante persone a cui tengo.
Mi sono reso conto che stavo bene.
Come se poi non bastasse, a seguito di un infortunio di un mio caro amico, se ci sta qualcuno che veglia su di noi, quel qualcuno ha voluto che quest’anno portassi la Macchina per la prima volta. Riuscendo in un’impresa che qualche mese fa probabilmente avrei pensato fosse impossibile.
Ho passato un brutto periodo, ma la vita me ne sta regalando tanti altri stupendi.
La mia non vuole in nessun modo essere un’autocelebrazione - conclude Fabio - una forma di boria o una ricerca d’attenzione. Voglio essere un aiuto e un conforto a tutte le persone che stanno male. Voglio dimostrare che vale sempre la pena lottare per qualcosa che si ama e che ogni caduta può darci l’opportunità di renderci più preparati e forti.
E che fare del bene è sempre la scelta giusta".
Vale sempre la pena lottare, è vero.
Teresa Pierini