VITERBO - Come poco più di due anni fa la Cina sembra di nuovo lontana, anche se non si è minimamente spenta l'eco dell'emergenza sanitaria anche in Italia, e si torna a vedere immagini che sembrano tratte da un film. Oggi sappiamo benissimo che è vero, anche se è completamente diverso il modo in cui Shanghai e molte altre province orientali sono giunte a questo. A raccontarci qualche dettaglio è un cittadino della Tuscia, in Cina per lavoro, che per ovvi motivi preferisce restare anonimo.
Negli ultimi 24 mesi l'Italia, prima, e poi molti altre nazioni hanno vissuto chiusure totali, obblighi e restrizioni. La Cina, da cui iniziò l'emergenza ha invece vissuto in un'atmosfera completamente diversa: "In questi due anni ho vissuto benissimo, senza restrizioni per covid, nemmeno le mascherine mentre sta cambiando qualcosa negli ultimi due mesi. Fino a poco tempo fa vivevo a Shanghai, lavorando in un negozio dove entravano 5.000 persone, al massimo il 10% aveva la mascherina e nessuno chiedeva permessi d'accesso.
Tutto è andato benissimo fino a fine marzo - prosegue - manifatture sempre aperte, da febbraio 2020 a poco tempo fa, senza alcun problema. Ci sono stati solo dei momenti in cui si trovavano dei casi, spesso provenienti da fuori, con persone che nonostante la quarantena uscivano negativi e poi si positivizzavano, spesso entro il ventunesimo giorno. Tutto però è stato controllato abbastanza bene, perché con un solo positivo veniva bloccato un quartiere. Questo significava che non si poteva entrare e soprattutto uscire per 15 giorni. Una situazione che ho visto personalmente un paio di volte in due anni, quindi non ho vissuto l'emergenza, tranne che non potevo uscire dalla Cina, perché l'eventuale rientro sarebbe stato vincolato alla quarantena, obbligata e a carico mio, in una struttura indicata dal governo, quindi ho evitato di muovermi per non subire questo. Tornando indietro farei lo stesso, anche avendo saputo come hanno vissuto gli stessi due anni molti miei amici in Usa ed Europa".
Una situazione che è cambita da marzo: "Shanghai è stata tra le prime a rivivere l'emergenza, ma voglio sfatare alcuni miti tra quelli che girano nelle chat, tipo il robot che circolava con il megafono o la disperazione di persone restate senza cibo: il govenro cinese ha sempre invitato tutte le famiglie a fare scorte alimentari, tutti sapevano che in caso di necessità avrebbero chiuso e non è facile organizzare il delivery in quella situazione, ci vogliono almeno 7/10 giorni. Anche io, in previsione, avevo fatto scorta di pasta, passata di pomodoro, olio, acqua, aglio e scatolette di tonno".
Una precauzione che ha comunque spinto il nostro lettore a trasferirsi a Pechino, certo ormai che presto avrebbero chiuso tutto: "Ho lasciato Shanghai appena iniziavano a chiudere le prime vie, con casi in grande aumento, dai 10, 20 a 40, certo che sarebbero poi diventati 100, 200 e via salendo, quindi ho scelto di andare, capendo che la situazione sarebbe solo peggiorata, andando in un'isola a sud della Cina. Una previsione giusta, la nostra fabbrica è in un quartiere di Shanghai ed è stata chiusa, poi stessa sorte anche per il negozio, fino ai mezzi di trasporto, una settimana prima dell'ufficialità del lockdown Doveva durare 10 giorni ma ancora è chiuso dopo più di un mese, con pochissime vie libere. Adesso non fanno nemmeno uscire, perché hanno paura di un eventuale ritorno, si esce solo se dimostri che vai proprio via, lasci la Cina. I positivi venivano chiusi in alcuni padiglioni, tutti insieme, rendendosi poi conto che erano troppi, una serie di errori pagati cari. Poi ci sono i social, specie degli stranieri che hanno diffuso informazioni e foto, prima mandati via poi fatti tornare, quando magari erano negativi a rischio di positivizzarli di nuovo".
Una situazione raccontata dai colleghi rimasti a Shangai, mentre il resto della Cina alza notevolmente l'attenzione: "Sono a Pechino da un paio di settimane, con tamponi a tappeto a fine aprile e lo stesso nella prima settimana di maggio. Lavoo nel negozio aperto da poco, con qualche regola più severa, come l'obbligo dell'utilizzo della mascherina. Nonostante zero casi, la città è più estrema anche per la presenza delle autorità governative. Devono evitare che si fermi anche la capitale, come successo in altre città da milioni di abitanti, con gente completamente chiusa in casa per un nese, e liberazione solo nei distretti che arrivano a 0 positivi. Al momento, con screening continui, sono pochissimi i positivi ma bisogna stare molto attenti, sto in allerta e verifico spesso i voli, non voglio rischiare di restare bloccato e, in caso di necessità, sono pronto a tornare in Italia. E' difficile che chiudano tutta la città, specie per non avere critiche dopo quanto detto su Shanghai, si limiteranno ai distretti, vie o zone, per arginare la situazione. Andrà prestata la massima attenzione in questi primi giorni di maggio, quando una festa tradizionale cinese rischia di far riunire le persone, facendo così diffondere il contagio. Per questo motivo hanno chiuso discoteche, pub e ristoranti, all'inizio fino al 4 maggio ma poi esteso a data da destinarsi, mentre in questi tre giorni è stata testata di nuovo tutta la popolazione, invitando chi può a lavorare da casa, in smart working. Magari presto tornerò a casa nel viterbese".
Teresa Pierini